"L’angolo del filologo non digitale"
Questo è lo spazio in cui la cybersecurity incontra la buona vecchia filologia: un territorio pieno di vocaboli anglosassoni che traghettiamo nell’italiano spesso senza conoscerne davvero il significato. Qui Roberto Luca porta un po’ di cultura nello spazio cyber, quel tanto che può tornare sorprendentemente utile anche nella pratica quotidiana.
Nel cuore della cybersecurity, un antico delitto greco riemerge in forma digitale: una nave mitologica solca mari virtuali, intrecciando miti e minacce informatiche. Esploriamo le radici storiche della sicurezza online.
È proprio il caso di ribadirlo. Cybersecurity: la pronuncia “americana” distoglie dall’etimologia del termine. Ripetiamo, asserviti ad un martellamento linguistico e mediatico, senza chiederci qual è il senso originario e mai dismesso del termine. Kuber deriva dal greco kubernètes, il timoniere o colui che guida, e kubernetikè è la tecnica del pilotare e guidare principalmente una nave. Dunque la sicurezza cibernetica (cybersecurity appunto) indica la sicurezza nella navigazione dei dati informatici di un’azienda o di una rete di aziende.
Ma la navigazione implica solitamente una imbarcazione o una flotta e proprio una flotta era ormeggiata in Aulide nella Beozia in attesa di poter salpare verso Troia, allo scopo di vendicare il rapimento di Elena da parte del principe (pastore) troiano Paride.
Primo antefatto. Nella disputa sulla bellezza che aveva visto coinvolte tre divinità Atena, Era ed Afrodite il giudizio era stato affidato a Paride, figlio di Priamo e principe troiano, colpevole soltanto di essere bello. La promessa di Afrodite fu vincente: se l’avesse scelta avrebbe avuto in sposa la più bella delle donne, Elena appunto, consorte di Menelao, sovrano di Sparta. E così fu. Non un rapimento, ma una costrizione divina indusse Elena a seguire Paride a Troia.
Secondo antefatto. Al momento di concedere in sposa Elena ad uno dei numerosi pretendenti greci, il padre Tindaro pretese un giuramento da tutti, un patto di solidarietà: nel caso bisogno tutti si vincolavano a venire in aiuto di Menelao per proteggere e difendere Elena, se qualcuno l’avesse strappata alla casa e al letto (coniugale). Coalizzati tra loro avrebbero attaccato e distrutto la terra dell’aggressore. La narrazione è di Euripide nella tragedia Ifigenìa in Aulide (edizione Tutte le tragedie, Sansoni 1970)
Una sorta, ante litteram, dell’art. 5 del codice Nato, che, appunto, impegna tutte potenze aderenti ad un solidale intervento in difesa del paese aggredito. Non si dica, poi, che i Greci non erano lungimiranti e poco moderni.
La flotta greca, però, non riusciva a prendere il mare aperto a causa dei venti contrari suscitati dagli dèi o, più probabilmente, dalla sola Artemide, potente dea della caccia. L’indovino Calcante fu chiaro: per placare l’ira divina il comandante della spedizione, Agamennone, fratello di Menelao, doveva sacrificare la figlia minore Ifigenìa. Ed ecco allora il sovrano inventare una storia ipocrita: manda messaggeri per chiedere alla moglie Clitennestra di raggiungerlo con la figlia Ifigenìa in Aulide, con il pretesto di un matrimonio della giovane con Achille. Ma, si badi bene, nessuno deve venire a conoscere il vero intento, prima che il sacrificio cruento sia compiuto.
Achille, però, del tutto ignaro, in un colloquio successivo con la sposa di Agamennone, conferma che non vi è alcun preparativo per le nozze ed allora diventa chiaro che è il padre ad aver deciso di sacrificare la figlia. Achille è del tutto contrario ad un spargimento di sangue. E persino Menelao, il più interessato alla spedizione, ha dei tentennamenti. Però Agamennone si difende in nome di un valore sovrapersonale: è l’Ellade stessa (Grecia) a chiedere questo sacrificio. E paradossalmente Ifigenia si mostra consenziente, con straordinario coraggio e repentina maturazione interiore. Lei è mortale e in quanto tale non può opporrsi alla dea. Dunque si rende sacrificabile al fine che la spedizione (kubernetiké) possa condurre al risultato atteso.
Tuttavia, proprio quando l’efferato delitto sta per compiersi, ecco, quasi una riproposizione della più celebre vicenda di Abramo ed Isacco, di biblica memoria, spuntare dalla foresta una cerva grande e bella a vedersi. Il suo sangue diventa, com’è facile intendere, il sacrificio alternativo. Molti dubbi sulla conclusione, se non altro perché Clitennestra (nella parole di un altro tragediografo, Eschilo) accusa a dieci anni di distanza il sanguinario consorte di aver sacrificato la sua propria figlia, la creatura più diletta delle sue viscere, per incantare i venti della Tracia.
Di un delitto antico allora si trattò. Al termine delle guerra di Troia, Agamennone ritorna a Micene con una ben più piccola spedizione di navi. E per mano della stessa Clitennestra trova morte violenta. La donna chiede che nemmeno ci siano lamentazioni funebri. Sarà sua figlia Ifigenia ad accogliere con volto lieto (cioè vendicato!) nell’Ade il padre omicida.
Come in una spirale senza fine, il sangue chiama, tuttavia, altro sangue e nemmeno Clitennestra verrà risparmiata dal figlio Oreste, per il delitto commesso. Legge di Apollo!
Spedizioni marittime (kubernetikai) e antichi delitti. Come volevasi dimostrare!
Roberto Luca, studioso del pensiero antico, ha pubblicato per i tipi de La Nuova Italia le edizioni commentate del Simposio e del Fedro di Platone. Del 2001 è il libro Eros & Epos. Il Lessico d’amore nei poemi omerici. Per Marsilio ha pubblicato Platone e la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia (2014), Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone (con un saggio di Massimo Cacciari, 2017). Nel 2024, sempre per Marsilio, La filosofia del riccio . Platonismo e scienza. Come manager ha collaborato per oltre 20 anni con aziende di primaria importanza, nel settore ICT.