Volume 1: Dall’Antico IDS all’Evangelizzazione Zero Trust
Fin dai primordi dell'informatica, l'uomo moderno ha cercato un modo per sentirsi superiore ai suoi simili. Alcuni hanno scelto l’arte. Altri la filosofia. I più sfortunati la programmazione in Assembly. Ma i più scaltri – quelli che poi sono diventati vendor, consulenti o solutions architects – hanno scelto la sigla.
La sigla – o acronimo, per chi ha fatto il classico ma non si ricorda cos’è un codice ASCII – è l’arma semantica definitiva: dice tutto, non spiega nulla, suona tecnica e costringe il cliente a pagare un corso per capirla.
Questo manuale etilogico (sì, etilogico: è la crasi tra “etimologia” e “intossicazione da acronimi”) nasce per raccontare la storia e la sociolinguistica del fenomeno più inflazionato della cybersecurity: le SIGLE. Perché una cosa è certa: se il malware evolve, le sigle evolvono più in fretta. Come l’inflazione, ma con più PowerPoint.
Tutto iniziò con IDS (Intrusion Detection System), che suonava già come una minaccia. "Installi l'IDS o ti succede qualcosa." Nessuno sapeva davvero cosa facesse, ma tutti lo volevano.
Poi arrivò il fratello maggiore, IPS (Intrusion Prevention System). La differenza? L’IDS guarda. L’IPS guarda e ti spara. E già qui, i primi equivoci: alcuni pensavano che "Intrusion Prevention" significasse che il firewall si trasformava in un ninja.
Fu allora che comparve il culto di SNORT, la creatura mitologica a metà tra un motore di regole e un maiale che starnutisce. “SNORT” è l’onomatopea che più di ogni altra ha reso la sicurezza informatica un’esperienza porcosa. SNORT era gratuito. SNORT era configurabile. SNORT era... doloroso. Come un file .conf scritto in sanscrito.
Nota Glottologica:
In alcune tribù IT del 2002, “SNORTARE” divenne verbo transitivo. Es: “Lo SNORTA il traffico DNS prima che entri nel proxy.”
Prima che tutto diventasse Next-Gen, il firewall era semplicemente una scatola che diceva NO. Un "NO" secco, rigido, manicheo. Tipo Kant con un’interfaccia web.
Poi i vendor iniziarono a chiamarlo NGFW (Next Generation Firewall), non perché avesse cambiato funzione, ma perché era passato da CLI a GUI. La vera “Next Generation” erano i pulsantoni colorati.
E allora via con la sigla, come fosse una lavatrice:
Errore semantico frequente:
Alcuni CISO confondevano “Next Gen” con “più sicuro”. Altri pensavano fosse una versione beta di Star Trek.
(Spoiler: lo è.)
La VPN (Virtual Private Network) è l’esempio perfetto di come una sigla possa diventare un passepartout semantico.
Poi, giusto per confondere, sono arrivate le VPN “consumer”, tipo “SurfAnonymously™”, “NoSpy™”, “UltraSecure™”, che fanno routing delle connessioni a Timbuctù ma vendono dati a TikTok.
Esempio reale:
Un vendor ha venduto “VPNaaS” come novità assoluta. Si scoprì poi essere OpenVPN su AWS. Ma con logo verde.
Col tempo, le sigle si sono accoppiate tra loro, generando gerarchie semantiche degne della famiglia dei draghi di House of Acronyms:
È una catena di montaggio di sigle: a ogni evoluzione semantica corrisponde un aumento del prezzo a listino. Il significato? Boh. Ma c’è un whitepaper di 47 pagine per fartelo sembrare importante.
“Zero Trust” non è solo un paradigma: è una religione. Ha dogmi, profeti (Forrester), eresie (il VPN), e persino un catechismo:
Da Zero Trust nacque una pletora di sigle liturgiche:
Eresie documentate:
Alcuni vendor vendono soluzioni ZTNA che iniziano con login username/password. È come iniziare la dieta con una teglia di lasagne.
Dopo attente analisi e scavi paleolinguistici tra whitepaper, documenti NIST e fantasie da analyst report, l’acronimo (reale!) che attualmente detiene il record per lunghezza e assurdità in ambito sicurezza digitale sembra essere:
STIGs: Security Technical Implementation Guides (non è lunghissimo, ma... aspetta) ...finché non troviamo questa bellezza certificata dal DoD statunitense:
DIACAP – Department of Defense Information Assurance Certification and Accreditation Process
(ma ora obsoleto: sostituito da RMF = Risk Management Framework, che è più corto ma più criptico)
Ancora non soddisfa? E allora eccolo, il mostro:
EAL4+ CC PP CSfC MACP - Evaluation Assurance Level 4+ Common Criteria Protection Profile Commercial Solutions for Classified Mobile Access Capability Package
Sì. Esiste. È nei documenti NSA. È lungo 84 caratteri senza nemmeno contare le parole spiegate.
Serve per dire “abbiamo controllato che questo smartphone supercifrato può entrare nel Pentagono senza che esploda”.
Se il primo capitolo era dedicato alla sacra genealogia degli acronimi di base, il secondo entra nel Medioevo Tardo della sicurezza: quello in cui ogni tecnologia viene ribattezzata “as-a-service”, per dare l’illusione di modernità e per potersela far pagare in abbonamento perpetuo.
L’origine del disastro semantico inizia con le tre bestie bibliche del cloud:
Poi sono arrivati i fratellastri meno noti:
Per coerenza linguistica, manca solo:
Caso clinico:
Un cliente ha chiesto a un fornitore “un SIEM as a service”. Gli hanno venduto una dashboard in Excel con macro e l'hanno chiamata SIEMaaS. Il contratto dura ancora oggi.
CASB – Cloud Access Security Broker
La leggenda narra che ogni volta che pronunci “CASB” senza sapere cosa fa davvero, un CISO riceve un report di shadow IT in formato PDF.
Il CASB è stato venduto come lo “sceriffo del cloud”, quello che controlla chi accede a cosa. Ma nella pratica è:
CASB: Complicating A Simple Business.
“Cybersecurity Mesh” – così astratta che nemmeno Hegel la comprenderebbe del tutto.
Coniata da Gartner, la Mesh Architecture è quella cosa che:
È il nuovo “modello distribuito”, ma detto con parole da boutique di intimo tecnico.
Il risultato? Sigle su sigle:
Fun Fact:
Un vendor ha presentato “Mesh-Ready Firewall”. Dentro c’era pfSense.
CNAPP – Cloud-Native Application Protection Platform
Definizione: l’unione confusa di tutto ciò che termina in “SecOps” ma in salsa Kubernetes.
CNAPP include:
Insomma: se non lo capisci, è perché funziona.
“Platform” = una cosa che ti vende una visione.
“Cloud-native” = ci gira su AWS.
“Protection” = ha un log.
“Analytics” = ci sono i grafici.
SASE – Secure Access Service Edge
SSE – Security Service Edge
Quando il marketing capì che “VPN” puzzava di anni ’90, inventò “SASE”, che si pronuncia come una velina simpatica. Poi, giusto per fare casino, tagliarono “Secure” da “SASE” e lo chiamarono “SSE”.
Esercizio per il lettore:
Provate a spiegare la differenza tra SASE e SSE a vostra zia. Poi a un cliente. Poi a voi stessi. Se alla fine state ancora parlando, siete pronti per fare il pre-sales.
Cosa abbiamo imparato? Che la sigla è un filtro semantico. Un oscuro oggetto del desiderio, spesso usato per:
E quando non funziona, si butta dentro un’altra parola magica: AI, behavioral, real-time, quantum-resistant, o “Zero”.
Come disse un CISO disperato: «Ho firmato per un CDR. Ora mi arriva un MDR XDR NGAV CNAPP con SASE integrato. Posso solo pregare in STIG.»
Se approvi, procedo col Capitolo 3: La Rivincita delle Entità Minori dove esploreremo i siglismi dimenticati, quelli borderline e quelli quasi reali ma del tutto inutili, come:
E il leggendario momento in cui SOAR si ruppe l’API in produzione.
Anzi, l’ambiguità semantica delle sigle è una delle principali tecniche di marketing mimetico. Alcuni acronimi vengono usati con significati diversi a seconda del vendor, dell’anno, della slide o dell’umore del pre-sales. Ma ora… procediamo col Capitolo 3:
Benvenuti nel limbo semantico della sicurezza IT, dove vivono gli acronimi minori, le creature di secondo piano nel pantheon della cybersecurity, spesso confuse, maltrattate o maldestramente reinterpretate dai vendor.
UTM – Unified Threat Management
La promessa era: “tutto in uno”. Firewall, antivirus, VPN, filtro contenuti, insulti a chi naviga su siti sbagliati.
Peccato che ogni vendor lo intenda a modo suo:
Oggi “UTM” è considerato boomeresco. Nessuno lo ammette, ma nei contratti pubblici appare ancora, tipo fossile semantico.
DLP – Data Loss Prevention
Teoricamente: blocca i dati in fuga.
In pratica: un concetto così vago che ogni vendor lo ha reinterpretato secondo la propria etica aziendale (e budget marketing).
Citazione semiseria:
“Il DLP è come la dieta: tutti dicono di averla, nessuno la rispetta, e il primo a violarla è il tuo CEO che manda l’Excel via Gmail.”
IAM – Identity and Access Management
IGA – Identity Governance and Administration
PAM – Privileged Access Management
Sembrano tre fratelli nati dalla stessa madre ISO, ma cresciuti in famiglie vendor diverse.
Effetto collaterale:
I clienti confondono IAM con LDAP. LDAP con Active Directory. Active Directory con “quello che se va giù non accediamo più nemmeno al caffè”.
UEBA – User and Entity Behavior Analytics
UBA – User Behavior Analytics
La differenza tra UBA e UEBA?
Il secondo ha anche le “entity”. Cosa siano queste entity, non è dato sapere. Forse processi, forse server, forse entità metafisiche che attraversano il traffico DNS.
Poi i vendor hanno cominciato a inventarsi derivazioni:
Nota dell’autore:
Se un vendor ti propone una UEBA che ha solo 3 regole e nessun algoritmo, è una UBA travestita da UDO: Una Decente Offerta.
SOAR – Security Orchestration, Automation and Response
In teoria: automatizza e orchestra le risposte agli incidenti.
In pratica: un motore di regole con drag&drop e debug infinito.
Ogni vendor ha il suo concetto di SOAR:
Caso reale:
In un SOC, un playbook SOAR ha disattivato l’account del CEO perché aveva fatto login da una località sconosciuta: casa sua.
XDR – Extended Detection and Response
Sigla iconica. Talmente vuota di contenuto che ogni vendor l’ha riempita con i propri incubi:
“Extended” rispetto a cosa?
“Response” automatica o umana?
“Detection” basata su regole, ML, sogni?
XDR è come l’acqua: prende la forma del contenitore. E se il contenitore è Gartner, allora ha pure il quadrante magico.
Ecco un elenco breve di sigle ambigue, ovvero usate con significati diversi da vendor a vendor:
La cyberlinguistica è un campo minato. Ogni sigla è un polimorfo, un Shapeshifter Semantico che cambia forma secondo l’oratore, il pubblico e il momento del ciclo di vendita.
La verità? Le sigle nascono innocenti. È il marketing che le travia. È l’analyst che le canonizza. È il cliente che le sopporta. E noi, poveri operatori, le subiamo.
“Nel principio era il verbo. Poi arrivarono le sigle. Infine, le certificazioni.”
— Da “La Genesi del CV”, versetto LinkedIn 3:14
Nella cybersecurity, la verità non si misura in conoscenza, ma in lettere dopo il nome.
In alcuni ambienti, dire “ciao, sono Mario” è socialmente inaccettabile. Devi dire:
“Mario Rossi, CISSP, CISM, OSCP, CEH, ISO27001LA, CCSP, AWS-Sec, CompTIA-Sec+, GCIH, CRISC, PMP, MBA, PhD, SIA (Sempre In Aggiornamento).”
Se non hai almeno due certificazioni in scadenza, non sei un vero esperto: sei solo un umano senza badge.
CISSP – Certified Information Systems Security Professional
È il “Master in Vaticano” della cybersecurity. Non importa cosa sai fare, importa se sai cosa pensa l’(ISC)² che dovresti sapere.
Requisiti:
Se sbagli e dici “risk appetite” al posto di “risk tolerance”, sei fuori.
Se dici “tolerance” senza citare NIST SP 800-30 Rev. 1, ti si spezza la catena del valore.
Leggenda:
Dopo 3 fallimenti, il candidato CISSP può evocare Kevin Mitnick nel piano astrale per l’ultima chance.
Tre certificazioni ISACA che sembrano uscite da un libro di Dan Brown:
Trinità della Verifica: se un audit fallisce, ma tu hai queste tre, puoi sempre rispondere: “Non era un non-conformità. Era un rischio residuale mal compreso.”
OSCP – Offensive Security Certified Professional
Lo chiamano “la certificazione che ti fa soffrire”: 24 ore di esame pratico, 3 VM da bucare, report in PDF, emoji escluse.
“Try Harder” – cioè, non rompere, studia di più.
(Nessuno ha mai detto: “Try Smarter”, perché è vietato dal regolamento.)
Altri fratelli d’arme:
Caso reale:
Alcuni hanno preso il CEH senza toccare un terminale.
Altri hanno preso l’OSCP senza dormire per 48 ore.
Indovina chi ha più badge su LinkedIn?
Per chi ama le sigle cloudy, ecco i nuovi titoli nobiliari:
Differenze?
Battesimo Cloud:
Se dici “multi-cloud” in un corso CCSP, ti danno una pergamena firmata da AWS, Azure e Google… con errori ortografici in comune.
Benvenuti nel regno del “Plus” semantico:
Ogni “+” indica:
Una volta si è ipotizzato il lancio di:
Ah, le sigle normative, quelle che trasformano un innocuo consulente in un paladino del “comma 12 dell’articolo 9 del GDPR”.
Caso surreale:
Un audit ISO 27001 ha rilevato come “non conformità” la mancanza di etichette sugli interruttori del server room.
Il CISO, titolato CISM+CISSP+OSCP, è fuggito in Nuova Zelanda.
Su LinkedIn, ci sono profili che sembrano tastiere impazzite:
Giovanni R., CISM, CISSP, CRISC, CEH, OSCP, DPO, PMP, ISO27001LA, MBA, PhD, LDR (LinkedIn Distinguished Reposter)
Se hai abbastanza sigle:
Le certificazioni, in fondo, sono come i totem di una tribù.
Ti fanno sentire parte di qualcosa, ti danno una giustificazione per il prezzo del corso, e soprattutto ti autorizzano a dire frasi come: “Mi spiace, ma secondo il framework NIST SP 800-53 Rev 5 Control AC-6 (10), non possiamo procedere.”
“Nel principio era la sigla. Poi venne il marketing. E infine… il nulla mascherato da PowerPoint.”
— Apocrifi di Palo Alto, versetto Gartneriano 5:7
NGFW – Next Generation Firewall
Comparso come titolo di nobiltà intorno al 2010, il NGFW doveva essere:
Ma oggi, nel 2025, ha ancora senso chiamarlo “Next Gen”? È come dire “Il Nuovo Gigi D’Alessio Tour” ogni anno.
NGFW è il Vasco Rossi della sicurezza: gira dal 1999, cambia giacca, ma canta sempre la stessa canzone.
Oggi, alcuni firewall con policy statiche e senza TLS inspection si fanno chiamare NGFW solo perché hanno un’interfaccia web responsive. Che è come vendere un Nokia 3310 dicendo che è “Smartphone Touch-Ready”.
Tutte queste sigle-fuffa sono nate in stanze chiuse tra marketing e pre-sales, davanti a un unico imperativo: “basta che suoni intelligente”.
Alcuni vendor vendono “AI-powered detection” che in realtà è una regex su /var/log. Ma con grafici in 3D.
Caso clinico:
Un cliente ha chiesto al vendor “quale tipo di AI usate?”
La risposta: “una ibrida tra supervised e quantum neural blob…”
Il cliente ha firmato. Ancora non sa per cosa.
Alcune sigle vivono solo nel ciclo di hype. Durano come gli amori estivi, ma con più buzzword:
Effetto collaterale:
Ogni volta che una sigla muore, rinasce in un nuovo vendor con un logo diverso e un prezzo aumentato.
PQSDP – Post-Quantum Secure Data Processing
PQVPN – Post-Quantum Virtual Private Network
Sono sigle per un futuro che non esiste ancora, ma già ha bisogno di protezione.
Ironia:
Alcuni “Post-Quantum” tool sono scritti in PHP e si collegano via FTP.
La sicurezza post-quantistica, ma con standard pre-Wi-Fi.
— “Ma supportate il PQTLS?”
— “Certo. Ma solo se lo accendi a mano.”
— “Cosa fa?”
— “Aspetta che lo rilasciamo.”
FUD – Fear, Uncertainty, Doubt
Non è una tecnologia. È un framework emozionale usato per vendere prodotti:
Poi scopri che:
Vero caso:
Un vendor ha promosso DREAM™ – Data Risk Exposure Adaptive Monitoring
In realtà era un Excel condiviso su OneDrive con colori condizionali.
Nel tentativo di sembrare internazionali, molti enti italiani hanno provato a tradurle o reinterpretarle:
Quelle che non esistono da nessuna parte, ma qualcuno le ha viste. Come Bigfoot. Come gli audit riusciti al primo colpo.
Ultimo caso:
Un vendor ha usato la sigla DPSE – Data Perimeter Security Enhancement™
Nessuno l’ha mai trovato in letteratura.
Nemmeno ChatGPT osa descriverla.
Le sigle fantasma sono il canto delle sirene del marketing cyber.
Promettono, confondono, seducono.
Ma sotto sotto... sono solo sigle. Come maschere di Carnevale: belle da lontano, ma alla fine... si sudano.
“Dategli una sigla e vi venderà un prodotto. Dategli due sigle e vi scriverà un framework.”
— Lavagna di un pre-sales isterico, Milano, 2022
Immaginiamo per un attimo che la cybersecurity sia davvero una scienza naturale.
E come ogni scienza che si rispetti, anche lei merita la sua Tavola Periodica.
Ma invece di atomi, abbiamo acronimi.
Invece di elettroni, abbiamo buzzword.
E al posto della radioattività, abbiamo obsolescenza funzionale.
La Tavola è divisa per “famiglie” di acronimi, così:
Ecco alcuni degli elementi più diffusi (e instabili) nella tavola:
Nota bene:
Alcuni elementi combinati danno risultati inaspettati:
FUD + SASE + PPT = Contratto
Si verifica in ambienti chiusi, a luci soffuse, durante una call con C-level.
Catalizzatore: una slide con titoli tipo “The State of Threats 2025”.
EDR + UEBA + AI-DR = XDR?
Non sempre. A volte genera solo “XDi” – eXtremely Dubious Intelligence
(altamente vendibile nei webinar, poco nei SOC)
PQVPN + PQTLS + FTP =
Altamente instabile. Produce marketing quantistico e vulnerabilità classiche.
Come in ogni ecosistema, anche la lingua italiana ha generato mutazioni locali degli acronimi globali:
Ogni elemento può mutare nel tempo. Ad esempio:
Questa mutazione è detta “Drift Semantico da Ciclo di Gartner” ed è irreversibile.
Se il mondo fosse coerente, potremmo costruire davvero una tavola periodica della sicurezza.
Ma la cybersecurity non è una scienza. È una religione con gergo tecnico.
E le sigle sono i suoi sacramenti: incomprensibili, ripetuti a memoria, e spesso imposti da qualcuno più in alto.
“In principio c’era il Verbo. Poi il Vendor creò l’Acronimo, e vide che era vendibile.”
— Antico glossario rinvenuto in un SOC inattivo
Creatura mitologica per eccellenza. Il SOC H24 compare in ogni RFP pubblica, in ogni slide venditoriale, in ogni speranza di compliance.
Ma nella realtà?
Leggenda:
Se invochi tre volte il termine “incident response” dopo le 22:00, si apre un ticket automatico con priorità bassa ma urgente.
Mai nessuno ha visto cosa succede dopo.
Figura eterea, spesso invocata ma raramente visibile. Il CISO con budget è come l’unicorno: esiste solo nei racconti degli analyst.
Mito popolare:
“Nel 2026 ci sarà un CISO con budget autonomo e potere decisionale diretto.”
Gli studiosi sono divisi tra chi lo attende e chi lo ha già escluso per ragioni religiose.
7.3. Il SIEM con Intelligenza Artificiale
Leggenda oscura: un SIEM che capisce davvero cosa succede.
Lo si riconosce perché:
Ma questo SIEM esiste solo nelle demo. Si manifesta in PowerPoint come un cerchio animato che “vede tutto”, “correla tutto” e “risponde in tempo reale”.
Ogni SIEM dotato di “machine learning” produce, nel tempo:
Creatura nota tra i vendor come Endpoint Etereo™.
Si tratta di una soluzione miracolosa che:
Nota clinica:
Alcuni EDR, dopo l’installazione, hanno “protetto” anche la stampante.
Si è rifiutata di stampare un contratto perché conteneva la parola “violazione”.
Creatura affascinante, il DPO leggendario vive in una zona grigia del diritto europeo.
Conosce ogni articolo del GDPR, ogni parere del Garante, ogni circolare AGID… ma anche il trucco per NON applicarli subito.
Caratteristiche principali:
Mito associato:
Il DPO perfetto è anche CIPP/E, CIPM, ISO 27701 e soprattutto… parente di qualcuno in azienda.
Figura silenziosa che appare solo durante l’audit. Veste nero, comunica con monosillabi, odia PowerPoint e ama i terminali verdi.
Attività:
Armi:
Se compare nella tua rete:
Hai 72 ore per sistemare i permessi. O ti manda il PDF con tutti i domini admin… e sarcasmo passivo.
Bestia a sangue freddo, il Vendor MultiSigla™ riesce a:
Meccanismo noto:
Ogni rete ha lui:
Caratteristiche:
Se lo tocchi:
Parte l’allarme antincendio. O il piano di disaster recovery.
Questo essere si nutre di:
Ma:
È spesso autore di PDF da 130 pagine con diagrammi a torta su PowerPoint.
È l’unico essere in grado di dire:
“La soluzione non è in linea con la NIS2, ma aderente al Regolamento UE 2021/887 e alla strategia nazionale per la resilienza cibernetica ai sensi dell’articolo 8-quater comma 2.”
…senza battere ciglio.
In questo ecosistema esoterico che è la cybersecurity, le sigle non bastano: servono personaggi.
Alcuni esistono. Altri no.
Ma tutti — in qualche modo — li hai già visti in un progetto.
O in un preventivo.
O, peggio, in una riunione con catering.
(Ovvero: come non farsi fregare da chi parla per sigle)
“Se usano più di tre sigle nella stessa frase, o stanno vendendo qualcosa… o stanno mentendo. O entrambe.”
— Manuale Apocrifo del CISO Auto-didatta
8.1. Struttura del glossario
AI – Artificial Intelligence
APT – Advanced Persistent Threat
BAU – Business As Usual
BIA – Business Impact Analysis
CASB – Cloud Access Security Broker
CDN – Content Delivery Network
DLP – Data Loss Prevention
DNS – Domain Name System
EDR – Endpoint Detection and Response
EULA – End User License Agreement
FUD – Fear, Uncertainty, Doubt
FIM – File Integrity Monitoring
GRC – Governance, Risk, Compliance
GDPR – General Data Protection Regulation
HIDS – Host-based Intrusion Detection System
IAM – Identity and Access Management
IPS – Intrusion Prevention System
MDR – Managed Detection and Response
MITRE ATT&CK – Matrix of Techniques for Adversaries
NAC – Network Access Control
PAM – Privileged Access Management
SIEM – Security Information and Event Management
SOC – Security Operations Center
ZTA – Zero Trust Architecture
In un mondo dove si comunica per sigle, sopravvivere significa tradurre al volo, diffidare di chi sa troppo e temere chi dice “è semplice” dopo aver usato 4 acronimi di fila.
Perché ogni sigla è una maschera, e dietro la maschera… spesso c’è solo una nuova versione della stessa vecchia idea, stavolta con logo blu.
(con Glossario Finale dei Personaggi Inutili e l’Acronimo Totale™)
“Ogni acronimo è una bugia a metà, ogni policy è un poema epico, ogni PowerPoint è una promessa mancata.”
— Da “Il CISO e le Mille Presentazioni”, manoscritto apocrifo
S.I.G.L.A.R.E. – Sistema Ironico di Glosse Linguistiche Applicate alla Rassegnazione Esplicita
Un acronimo che racchiude tutto il viaggio in 8 capitoli, ovvero:
Traduzione pratica: S.I.G.L.A.R.E. è l’arte di sopravvivere in un mondo dove ogni 6 mesi cambia tutto tranne i problemi.
Ruolo: viene coinvolto solo per firmare le policy
Abilità speciale: fingere di capire cosa fa il SIEM
Frequenza apparizione: solo durante le ispezioni
Frase tipica: “Ah, questo? Lo stiamo valutando strategicamente…”
Ruolo: strumento dotato di coscienza, ma afflitto da sindrome di burnout
Abilità: generare 130 alert/minuto senza distinzione tra DDoS e backup fallito
Frequenza apparizione: sempre, tranne quando serve
Frase tipica: “Alert critic… sorry, log overflow.”
Ruolo: ponte tra la Legge e il Nulla
Abilità: citare 12 articoli del GDPR senza respirare
Frequenza apparizione: durante audit o quando c’è da bloccare qualcosa
Frase tipica: “Possiamo farlo, ma dobbiamo valutare il contesto normativo, geopolitico e astrologico.”
Ruolo: dispensatore di PowerPoint sacri
Abilità: convertire ogni esigenza in un modulo a pagamento
Frequenza apparizione: prima del budget, mai dopo
Frase tipica: “Certo che lo supportiamo. Nella prossima release.”
Ruolo: entità obsoleta non documentata
Abilità: non morire mai, anche se vulnerabile dal 2004
Frequenza apparizione: solo dopo l’incidente
Frase tipica: “Ma è critico, non possiamo toccarlo…”
Ruolo: compare in audit, poi scompare per mesi
Abilità: trovare vulnerabilità in dispositivi non inventati
Frequenza apparizione: quando meno te lo aspetti
Frase tipica: “Trovi tutto nel report. Sono 87 pagine. In Markdown.”
La cybersecurity, più che una disciplina, è una lingua viva con accento da conferenza.
Se oggi hai letto fino qui, hai imparato una cosa fondamentale:
dietro ogni sigla si nasconde una storia… e quasi mai una soluzione.
Ma la vera arma del professionista moderno non è il CISSP.
Non è il SIEM.
Non è nemmeno il budget.
È la capacità di sorridere, tradurre tutto in umano comprensibile, e rispondere con la frase più potente del settore:
“Sì, l’ho già visto. E no, non funziona.”
01-08-2025
31-07-2025
31-07-2025
30-07-2025