Il comparto tecnologico si considera sempre "neutro" rispetto al mondo che lo circonda. In realtà oggi è uno dei molti terreni di confronto della geopolitica, ricorda l'ex Segretario di Stato USA. E ha un ruolo da svolgere.
La cybersecurity, si sa, da tempo non si può più considerare come una questione solo da tecnici: è un elemento strategico e di sicurezza nazionale. Di conseguenza, anche se molti non ci pensano - spiega l’ex Direttore della CIA ed ex Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, dal palco del Cybertech Europe 2025 - le nuove tecnologie che hanno applicazioni in ambito cyber hanno anche impatti a livello geopolitico. Pensiamo all’AI: grazie ad essa “La capacità di generare caos e confusione in tempo reale, prima che ci si accorga di cosa effettivamente sta succedendo, è aumentata in modo drammatico - spiega Pompeo - mentre il suo costo è sceso drasticamente. Il che significa che sempre più attori ostili la useranno, in un cambiamento storico: attaccare oggi è più semplice che difendere”.
Per questo poter investire (o meno) nello sviluppo e nell’implementazione delle nuove tecnologie diventa un fattore di disequilibrio tra Stati: chi potrà mettere sul piatto le centinaia o migliaia di miliardi di dollari che servono ne trarrà beneficio nei prossimi anni, rafforzandosi rispetto a chi questi investimenti non li può sostenere. In campo AI, ad esempio, “Gli Stati Uniti faranno investimenti enormi, la Cina in un solo anno può investire quello che l’Europa farà in dieci anni. Questa è la scala delle differenze economiche associate non solo all’AI ma anche al quantum computing, differenze che nei prossimi anni sposteranno drasticamente gli equilibri di potere mondiali”, sottolinea Pompeo.
Il fatto che i confronti tra nazioni e blocchi si spostino sempre più nel digitale e nell’ambito tecnologico cambia anche la dinamica delle alleanze internazionali: gli alleati più ovvi non sono più quelli geograficamente vicini quanto che è più disposto a collaborare con noi, specie in ambito cyber. La scelta dipende, spiega Pompeo, “dagli interessi comuni, dalla capacità di lavorare insieme a favore dei ‘buoni’, ossia coloro che credono nei valori fondamentali della dignità umana e, per essere più concreti, dei contratti e della proprietà”. Questo è il piano su cui oggi si gioca la partita della geopolitica e, sottolinea l’ex Segretario di Stato, il mondo tecnologico non ne è separato: è solo uno dei tanti ambiti verticali in cui questo confronto si dipana.
Mike Pompeo
Per questo la difesa cyber nel suo complesso deve basarsi anche su una stretta collaborazione tra pubblico e privato. È vero che oggi la maggior parte della cybersecurity non viene implementata dai Governi ma dalle imprese, che investono direttamente per proteggere i propri sistemi, ma quando si cominciano a considerare gli scenari cyber da una prospettiva più ampia, le considerazioni cambiano. “Affrontare gli attacchi degli stati-nazione, come anche quelli portati da altri threat actor ma che hanno comunque impatti a livello nazionale, richiede competenze e capacità che hanno solo gli Stati sovrani e che si possono mettere in campo solo attraverso procedure e norme definite a livello politico”, spiega Pompeo.
Coordinare la collaborazione cyber tra aziende e Stati non è semplice e non esiste un insieme di regole che vada bene per tutti. Ma una collaborazione va comunque creata perché “Oggi la differenza tra un conflitto tradizionale e uno cyber è praticamente nulla - evidenzia Pompeo - e il modello di deterrenza che abbiamo seguito per decenni sta, nello spazio cyber, ancora muovendo i suoi primi passi. Ma di certo sarà molto più focalizzato sul settore privato di quanto non fosse tradizionalmente, quando le armi erano controllate esclusivamente dagli stati-nazione”. L’esempio migliore è vicino a noi: il conflitto russo-ucraino, in cui alla difesa di Kiev hanno contribuito anche le tecnologie, le competenze e le infrastrutture di aziende come Microsoft o Starlink.
La collaborazione, insomma, serve a tutti i livelli. Anche quella tra le due sponde dell’Atlantico, che oggi sembra messa in dubbio da contrasti e punti di vista diversi su molti temi economici e geopolitici. Ma Pompeo avvisa: la relazione tra Stati Uniti ed Europa non si è deteriorata, pensarlo sarebbe un grosso errore e un grosso rischio. È una relazione “che va ben oltre qualsiasi Presidente americano e qualsiasi leader europeo”: i Governi cambiano ma il rapporto USA-UE “Durerà molto più di chiunque di noi, perché condividiamo un insieme di idee e valori che sono fondamentalmente diversi da quelle dei Paesi dell’Est, della Cina o della Russia. Certo, questo non vuol dire che non discuteremo, non ci confronteremo e non saremo in competizione”.
Non è quindi strano che per sentirsi al sicuro tanto dai nemici quanto dagli amici con cui si possono avere (importanti) contrasti, le nazioni cerchino una loro autonomia digitale, tanto per normali considerazioni di resilienza digitale quanto per il basso livello di fiducia nelle attuali relazioni internazionali. Non è solo una questione di sovereign cloud, sottolinea Pompeo, anche se tutti parlano di quello: l’obiettivo più ampio, per ogni nazione, è realizzare infrastrutture digitali sovrane che siano il più sicure possibile e in grado di sostenere tanto gli attacchi dei threat actor più pericolosi quanto gli intoppi della geopolitica.
Ma l’indipendenza digitale può arrivare fino a un certo punto, ricorda Pompeo, e non solo per questioni tecnologiche: “alla fine, ti devi mettere inevitabilmente nelle mani di qualcun altro”. Non si può, insomma, avere davvero “fiducia zero” al di là dei termini tecnici: “la maggior parte delle nazioni dovranno fidarsi di qualche altra: in tal senso, quello che serve è avere un’architettura che operi partendo dal preconcetto che non ci si fida di nessuno ma in cui, allo stesso tempo, si possa dare fiducia a chi si considera affidabile”. Consapevoli che questo equilibrio potrebbe, dopo, cambiare.
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