Dalla bassa capacità di creare impresa in ambito cyber security al monito sull'uso intelligente delle risorse del PNRR: Clusit mette in guardia l'Italia.
Il quadro sulla cyber security che esce dal rapporto Clusit di ottobre 2021 è tutto fuorché rassicurante. A seguito dei numeri, che identificano una vera e propria "emergenza globale", il Presidente di Clusit Gabriele Faggioli non si è sottratto a una riflessione incentrata sulla realtà italiana.
Incrociando i numeri presentati oggi con la reattività dell'ecosistema italiano in termini di spesa per la cyber security, Faggioli si dice critico e preoccupato, a ragion veduta. Considerato che Clusit analizza la situazione della cyber security italiana da 21 anni, può affermare con cognizione di causa che il nostro Paese è stato fortemente incapace di creare imprenditoria, soprattutto sulla security.
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"L'Italia ha una bassissima capacità di creare impresa in ambito cyber security – ha esordito Faggioli – e un sotto-investimento incredibile". I numeri sono abbastanza eloquenti al riguardo: il Presidente di Clusit fa riferimento ai dati dell’Osservatorio Cyber Security & Data Protection del Politecnico di Milano pubblicati in precedenza per evidenziare che su un totale di 254 startup nell’ambito della cybersecurity avviate nel mondo a partire dal 2015, solo il 2% è italiano (5 aziende). E che in termini di finanziamento, la media italiana è di un milione di dollari, quando a livello mondiale la media è di 15 milioni di dollari.
Sono numeri che secondo Faggioli "dimostrano una incapacità dell'Italia di creare aziende, di finanziarle e di stendere le basi affinché la security sia un aspetto importante e integrante del sistema Paese". Il sotto-investimento non riguarda solo le startup, perché l'esperto evidenzia che "l'Italia spende un miliardo e 400 milioni all'anno in sicurezza informatica, contro 30 miliardi di dollari investimenti cyber di altri Paesi.
Sono dati che dovrebbero portare a una profonda riflessione sulla competitività italiana e sulla struttura del sistema Paese, in cui la disgregazione sta comportando una debolezza estremamente rilevante. Se da una parte è vero che il tessuto imprenditoriale italiano è per lo più costituito dalle PMI, dall'altra tutti i dati indicano chiaramente che "il fenomeno degli attacchi cyber impone di fare economia di scala e aggregazione, e di mettere a fattor comune le capacità di investimento singole, in modo da renderli efficaci su larga scala".
A queste parole dure fa eco Andrea Zapparoli Manzoni, che nel suo intervento ha ammonito l'Italia: siamo sul punto di avviare una fase esplosiva della crescita digitale grazie anche al PNRR, che prevede oltre 45 miliardi di investimenti nella digital transformation. "Se li spenderemo male ci porteranno, nel giro di 3-5 anni, ad avere una superficie di attacco che sarà 100 volte quella di adesso. Se li spenderemo bene avremo una società digitalizzata ed efficiente. Se sbagliamo questo passaggio, come Paese saremo in guai seri" e la situazione attuale ci sembrerà un paradiso a confronto di quello che dovremo affrontare.